Cure Palliative: un segno di civiltà
E’ opinione comune che le Cure Palliative si configurino come un trattamento di seconda linea, ultima spiaggia entro la quale abbandonare il malato quando, la buona medicina, quella vera , quella dei monitor, dei robot ultramoderni e dei “Medici in prima Linea” non è stata in grado di offrire risposte esaustive a quel desiderio di eternità che alberga in ciascuno di noi.
E’ opinione comune che le Cure Palliative siano cure di “Fine Vita” e, perché no, cure di “Inizio Morte”, pensiero questo che relega i malati in una sorte di quarantena, un ghetto terapeutico, dal quale nessuno può uscire, ed all’interno del quale nessuno può accedervi senza esserne fatalmente ed inesorabilmente contagiato.
Meglio negare la malattia stessa, se necessario!
E’ opinione comune che le Cure Palliative, nella espressione di alcune procedure che le sono proprie ( es. sedazione o sospensione dell’idratazione), possano configurarsi più come atto eutanasico che non come un irrinunciabile gesto terapeutico volto al controllo di sintomi, talvolta persino più drammatici del morire stesso.
E’ opinione comune, quindi, che chi intraprende un cammino di questo tipo si accinge di fatto ad imboccare un percorso diverso, un percorso di morte, dimenticando però che il morire stesso è ancora dentro la vita, ne fa tenacemente parte, così come ne fa parte la nascita.
Assistiamo quotidianamente alla celebrazione della onnipotenza della medicina, trascurando e occultando la fragilità della vita stessa. Ma questa medicina così tecnologicamente avanzata ed efficiente porta nei suoi geni il lavoro di una moltitudine di medici capaci di stare accanto al malato, di ascoltarlo e di prendersene cura, senza l’ausilio di monitor o di scanner.
Nella definizione che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità 1999) da delle Cure Palliative così si legge:”.. cura attiva e totale dei pazienti che non rispondono più a trattamenti curativi..”; ed ancora: “..lo scopo delle Cure Palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita per i malati e per le loro famiglie[..]” .
Viene da chiedersi se bisogna attendere necessariamente l’inefficacia dei “trattamenti curativi” per potere ottenere il sollievo da sintomi drammatici come il dolore, la dispnea o ancora il vomito incoercibile ; viene da domandarsi se la “migliore qualità di vita per i malati e per le loro famiglie” debba ricercarsi esclusivamente quando, forse, di vita non ne rimane più tanta da spendere. Per tutti questi motivi le Cure Palliative non dovrebbero essere considerate Cure di Fine Vita ma Cure Vitali, alle quali tutti i pazienti possano accedere ma senza per questo dovere necessariamente capovolgere la clessidra del proprio tempo.
Un segno di civiltà.
Dott. Michele Sofia